I fatti
Il 15 aprile 2023 le Rapid Support Forces (RSF) guidate da Mohamed Hamdan Dagalo hanno attaccato, nella capitale Khartoum, le forze dell’esercito regolare Sudan Armed Forces (SAF) con l’obiettivo di prendere il potere. Il conflitto si è rapidamente espanso a quasi tutti gli stati che compongono il Sudan, sostanzialmente dividendo il paese in aree sotto il controllo dell’una o dell’altra forza armata, senza però una linea di confine netta, a macchia di leopardo. Dopo 17 mesi di combattimenti non esiste una forza in grado di prevalere sull’altra, la situazione sul terreno è fluida e i tentativi di negoziato avviati non hanno ancora portato all’apertura di vere trattative. Dei colloqui di pace organizzati a Ginevra sotto l’egida delle Nazioni Unite per l’inizio di settembre sono stati prima accettati con riserva, poi disertati, almeno dalle forze governative, dopo un presunto attentato ad Al-Burhan.
Le parti in causa
L’esercito regolare delle Sudan Armed Forces è guidato da Abdel Fattah al-Burhan, che è anche a capo della giunta militare che governa il Sudan dal 2019, quando, dopo grandi manifestazioni popolari, il precedente dittatore Omar al-Bashir è stato destituito. Nel 2021 i militari hanno estromesso tutte le componenti civili dal governo del paese. Una componente importante di soldati delle attuali SAF faceva parte dell‘esercito regolare anche sotto la dittatura di Bashir (1993-2019).
Le Rapid Support Forces sono una milizia regionale creata nel 2013 dal governo (chiarire quale governo) per combattere le ribellioni in corso nella regione occidentale del Darfur. All’interno di queste milizie sono confluiti diversi combattenti che avevano fatto parte delle milizie Janjaweed, coinvolte nella guerra del Darfur (2003-2019), responsabili di estese violazioni dei diritti umani e campagne di pulizia etnica ai danni della popolazione non araba presente in quella regione.
Altri gruppi armati presenti nel paese si sono mobilitati a supporto dell’una o l’altra delle fazioni.
La guerra non ha componenti religiose, dato che tutte le parti in causa sono musulmane. Esiste tuttavia una componente etnica di rivalità tra due gruppi arabi del paese: le RSF sono principalmente composte da persone arabe del Darfur (la zona occidentale desertica e nomade), mentre la leadership delle SAF fa parte del gruppo arabo della Valle del Nilo (la regione centrale e stanziale del paese, che comprende anche Khartoum).
La comunità internazionale
Il coinvolgimento della comunità internazionale è stato abbastanza limitato e inefficace, non ultimo per le concomitanti guerre in Ucraina, prima, e Medio Oriente poi. Entrambe le parti in causa sono sotto sanzione ed embargo per quanto riguarda la fornitura di armi. Tuttavia, Human Rights Watch denuncia che, a settembre di quest’anno, le parti continuano ad approvvigionarsi di nuovi armamenti.
Il Sudan è uno snodo geopolitico strategico nella regione, con Port Sudan che è una base logistica chiave nel momento in cui l’accesso al Mar Rosso è reso sempre più insicuro dalle attività delle milizie Houthi in Yemen. Potenze arabe della regione sostengono le parti in causa, gli Emirati Arabi Uniti per le RSF, e Arabia Saudita ed Egitto per le SAF, in un conflitto per la leadership della regione che mina le prospettive di pace. Svolge un ruolo geopolitico anche la Russia, che sta cercando di fare di Port Sudan una propria base militare.
Le Nazioni Unite non sono riuscite a svolgere un ruolo efficace come mediatori del conflitto, con i colloqui di Ginevra disertati dai contendenti. Inoltre, la proposta di una forza indipendente di interposizione per garantire l’aiuto umanitario è stata fermamente rigettata dalle parti in causa.
Le conseguenze sul piano umanitario
Dal punto di vista umanitario stiamo parlando di una delle più grandi catastrofi al mondo degli ultimi 20 anni.
Il conflitto ha generato un nuovo massiccio spostamento di persone in fuga dai conflitti, portando il numero di sfollati interni a superare i 10 milioni, la cifra più alta al mondo. Allo stesso tempo, oltre 900.000 rifugiati dei paesi vicini, specialmente eritrei ed etiopi del Tigray, vivono in Sudan, mentre oltre 2 milioni di sudanesi è rifugiata nei paesi confinanti. Attualmente, il 26 % dei 51 milioni di sudanesi è sfollata o rifugiata.
Questo ultimo conflitto è avvenuto in un paese che di recente era già stato teatro di guerre aperte nella regione occidentale del Darfur, a partire dal 2003 e in maniera latente fino ad ora, e nel sud del paese, conflitto terminato nel 2005 portando poi all’indipendenza del Sudan del Sud nel 2011.
Questa nuova estesa e protratta ostilità ha portato al totale collasso del sistema sanitario, della produzione e/o importazione di cibo e viveri, e delle capacità di accesso all’aiuto umanitario.
Carestia conclamata
Le stime delle agenzie umanitarie a settembre 2024 dicono che 25.6 milioni di persone, più di metà della popolazione del paese, abbia bisogno di aiuto ed sia a rischio carestia, con 2,8 milioni di persone in pericolo di vita entro l’anno.
Il tema dell’accesso ad aiuti umanitari è particolarmente critico, dato che viene utilizzato anche come strategia bellica. Uno dei pochi corridoi di accesso per aiuti umanitari proviene dal Ciad attraverso il Darfur, dove il nuovo confitto si è innestato sulle precedenti violenze, anche perché parte dei militari coinvolti sono gli stessi. Questo confine, che risulta poroso per le forniture di armi, viene aperto con accessi molto centellinati dalle SAF, che controllano il confine, per evitare che vengano approvvigionate zone sotto il controllo delle forze rivali.
Spazi di intervento
Sono pochi gli stati risparmiati dal conflitto, dove la popolazione può rifugiarsi in sicurezza. Fra questi, la zona nord, desertica, la zona orientale, parti di Kassala e Gedaref, e il Red Sea State, probabilmente anche per l’importanza strategica di Port Sudan, dove la SAF si è rifugiata, e viene attualmente riconosciuta come il governo legittimo del paese dalla comunità internazionale. Nel collasso economico anche la Banca Centrale ha smesso di funzionare, e si è sviluppata un’economia di guerra dove alcuni prodotti locali trovano spazio in sostituzione di quelli delle multinazionali, ma le attività sono legate soprattutto al contrabbando, specialmente nel settore del petrolio, o al traffico di armi.
Nelle zone parzialmente risparmiate dal conflitto esistono delle imprese o attività economiche che meritano di trovare partner economici e servizi, ad esempio servizi finanziari come le semplici transazioni con l’estero, dove alcuni degli imprenditori risiedono o hanno trovato rifugio. D’altra parte, la mancanza di opportunità di lavoro è stata uno dei motivi per cui molti giovani sono stati reclutati dalle milizie.
È sempre in queste zone che PASED riesce a fornire i propri servizi alle attività economiche femminili nel quadro del progetto “Più forti insieme” con Associazione Microfinanza e Sviluppo. Nelle altre zone l’accesso è molto difficile, le agenzie umanitarie realizzano interventi di emergenza nelle aree che riescono a raggiungere, oppure partendo da basi operative nei confinanti Ciad, Sud Sudan o Etiopia.
The Facts
On April 15, 2023, the Rapid Support Forces (RSF), led by Mohamed Hamdan Dagalo, attacked the Sudan Armed Forces (SAF) in the capital, Khartoum, aiming to seize power. The conflict quickly spread to almost all the states of Sudan, effectively dividing the country into areas controlled by one faction or the other, with no clear boundary, resembling a patchwork. After 17 months of fighting, neither side has managed to gain the upper hand. The situation on the ground remains fluid, and negotiations have yet to lead to meaningful talks. Peace talks organized in Geneva under the UN’s auspices for early September were initially tentatively accepted but later abandoned, at least by the government forces, following an alleged assassination attempt on Al-Burhan.
The Parties Involved
The Sudan Armed Forces, led by Abdel Fattah al-Burhan, form the regular army and have been governing Sudan since 2019. This followed massive popular protests that ousted the previous dictator, Omar al-Bashir. In 2021, the military expelled all civilian elements from the government. A significant number of current SAF soldiers were part of the regular army under Bashir’s dictatorship (1993–2019).
The RSF is a regional militia created in 2013 by the government (specific administration unclear) to combat ongoing rebellions in the western Darfur region. Many fighters within the RSF previously belonged to the Janjaweed militias, infamous for their involvement in the Darfur war (2003–2019) and responsible for extensive human rights violations and ethnic cleansing campaigns targeting the non-Arab population in that region.
Other armed groups within the country have also mobilized in support of one faction or the other.
The war has no religious components, as all parties involved are Muslim. However, ethnic rivalries exist between two Arab groups: the RSF is predominantly composed of Arabs from Darfur (a desert and nomadic western region), while the SAF leadership belongs to the Arab Nile Valley group (a settled central region that includes Khartoum).
The International Community
The international community’s involvement has been relatively limited and ineffective, largely overshadowed by concurrent wars in Ukraine and the Middle East. Both factions are under arms sanctions and embargoes, yet Human Rights Watch reported in September 2024 that both sides continue to acquire new weaponry.
Sudan holds strategic geopolitical importance in the region, with Port Sudan serving as a key logistical hub. This is particularly critical as access to the Red Sea becomes increasingly precarious due to Houthi militia activities in Yemen. Regional powers have taken sides, with the UAE supporting the RSF and Saudi Arabia and Egypt backing the SAF, further undermining peace prospects in their bid for regional dominance. Russia has also entered the picture, seeking to establish a military base in Port Sudan.
The UN has failed to mediate effectively. Talks in Geneva were boycotted, and a proposal for an independent peacekeeping force to ensure humanitarian aid was flatly rejected by both factions.
Humanitarian Consequences
The conflict has resulted in one of the largest humanitarian crises of the past 20 years.
The violence has displaced over 10 million people internally, the highest number in the world. Additionally, more than 900,000 refugees from neighboring countries, particularly Eritreans and Tigrayans from Ethiopia, currently reside in Sudan. Over 2 million Sudanese refugees are now in neighboring countries, bringing the total percentage of displaced or refugee Sudanese to 26% of the country’s 51 million population.
This recent conflict adds to Sudan’s history of war, including open hostilities in Darfur starting in 2003 and latent violence since, as well as in the south, where a conflict ended in 2005, eventually leading to South Sudan’s independence in 2011.
The ongoing violence has caused the healthcare system to collapse, crippled food production and imports, and drastically reduced access to humanitarian aid.
Declared Famine
As of September 2024, humanitarian agencies estimate that 25.6 million people, over half the population, require aid and are at risk of famine, with 2.8 million lives in immediate danger by the end of the year.
Access to humanitarian aid has become a critical issue, as it is often used as a weapon of war. One of the few humanitarian corridors runs from Chad through Darfur, where the new conflict has exacerbated previous violence, partly because many of the same military personnel are involved. This porous border also facilitates arms trafficking, and the SAF, which controls it, limits access to humanitarian aid to avoid supplying areas under rival control.
Opportunities for Intervention
Only a few areas in Sudan have been spared from conflict, offering relative safety for the population. These include the northern desert, parts of Kassala and Gedaref in the east, and the Red Sea State. The strategic importance of Port Sudan, where the SAF has taken refuge and is internationally recognized as the legitimate government, likely contributes to these areas’ relative stability.
Amid the economic collapse, the Central Bank has ceased functioning, leading to the emergence of a war economy. Local products have partially replaced multinational goods, but activities are dominated by smuggling, particularly of oil and weapons.
In the relatively peaceful areas, small businesses and economic activities still hold potential for partnerships and services, such as financial transactions abroad for entrepreneurs who have relocated. Lack of job opportunities has been a major driver of militia recruitment among young people.
Projects like “Stronger Together”, implemented by PASED in collaboration with the Microfinance and Development Association, provide vital support to women-led economic activities in these areas. However, access to other zones remains extremely challenging, limiting emergency aid operations to reachable areas or cross-border interventions from Chad, South Sudan, or Ethiopia.